Venerdì
4 Ottobre
Penelope non ci fermerà!
Sarà questo il motto della giornata.
L’altra settimana, mentre ero in giro a collaudare il Vtte,
Elena mi aveva detto che lei e Marco sarebbero partiti per la Via Francigena il
4 Ottobre. Proponeva di percorrere un tratto di strada insieme.
Lei e Marco in sella sono forti, anzi fortissimi, e l’idea
di percorrere assieme un tratto di strada mi è piaciuta subito. Ogni tanto ci s’incontra
fra festival, fiere e presentazioni di viaggi, ma non ci è ancora capitato di
pedalare assieme.
Ci accordiamo per incontrarci il 5 Ottobre fra Pavia e
Piacenza, da qualche parte lungo la Via Francigena.
Chiedo a Elena di scegliere se preferisce che io pedali con
la Goat o con il Vtte: preferisce la Goat.
Elena e Marco hanno qualche esperienza più di me in merito
alla bicicletta. Marco ha percorso l’Iditaroad Trail in Alaska e il Tour Divide
in solitaria. Ha poi ripercorso il “Tour Divide” assieme ad Elena. Forse non tutti
lo sanno, ma non sono competizioni di quelle facili facili…
Il fatto stesso di arrivare fino in fondo è un successo, un
grande successo!!!
Consiglio di fare un giretto sul web per vedere di cosa si
tratta…
Sono più conosciuti come wildtrack.it, se cercate il loro
sito ricordatevi che wildtrack si scrive con la “A”, non con la “E”.
Per la Goat sarà un onore pedalare insieme a loro. Prima
però di accettare l’invito faccio presente che la Goat non raggiungerà le loro prestazioni.
Elena dice al telefono che loro vanno piano e sono fuori allenamento.
Certo… Certo…
Anche se io mi mettessi in sella tutti i giorni per un anno
intero con il carrello carico di sampietrini non potrei mai arrivare alla loro
prestazioni… E poi la Goat ha i suoi limiti, tanti limiti, mentre loro
viaggeranno con biciclette studiate per muoversi anche sugli anelli di Saturno.
La Goat è tornata dal viaggio verso il Festival della Viandanza
leggermente malandata, non ci sono grossi problemi, ma il telaio si sta
spezzando sul portapacchi e io non ho ancora provveduto a sostituirlo, non si
può riparare, va proprio sostituito.
Sto pensando a come cambiarlo, a come realizzare un pezzo di
telaio più adatto per agganciare il carrello.
Per fortuna la Graziella è uno dei primi modelli, con il carro
posteriore imbullonato, così non devo preoccuparmi di saldare il telaio nei punti
di aggancio del carro posteriore e non devo tagliare nulla per togliere il carro
posteriore, basta svitare i quattro dadi che lo tengono fissato al telaio.
Forse però posso aggiungere un paio di profilati di acciaio
e sistemarlo provvisoriamente, per farlo resistere qualche altro centinaio di
chilometri. Forse posso semplicemente rinforzare il portapacchi ed evitare
altri problemi, provo a pensarci.
Ci sarebbe anche la forcella davanti mezza sfilettata, ma lì
è sufficiente che ogni dieci chilometri, più o meno, mi fermi e faccia fare
alla ghiera un mezzo giro, sono andato avanti così per qualche centinaio di
chilometri e posso farlo ancora.
Ora però devo partire con la Goat così com’è. Non è un problema,
non devo portare un carico pesante. Non devo percorrere molto sterrato, non credo
che il telaio decida di spezzarsi proprio domani, o almeno lo spero.
Una buona bici non chiede di essere ricontrollata prima di
un giretto di qualche decina di chilometri, ma la Goat è un po’ particolare e
prima di partire conviene che verifichi se ci sono tutti i pezzi e se fanno
tutti il loro dovere.
… e poi non ho ancora sistemato tutto dopo il rientro dal
collaudo del Vtte, gli attrezzi e qualche pezzo sono da riordinare. Per esempio:
la sella del Vtte l’avevo tolta dalla Goat e ora la devo rimettere posto.
Telefono a Elena: «Siamo
a Tromello».
Vuol dire che arriveranno al ponte sul Lambro nel primo pomeriggio,
questo mi da il tempo per preparare le cose con più calma e portare la macchina
un po’ più verso Piacenza per poi risalire il Po verso Lambrinia.
Le previsioni del tempo dicono che sta per arrivare l’ “Uragano
Penelope”, cioè il “Ciclone Penelope”.
A me sta cosa di dare i nomi alle perturbazioni non fa tanto
piacere. Un temporale è un temporale, ma quando è anonimo fa paura come tutti
gli altri temporali, quando invece ha un nome fa più paura. Fa più paura perché
ha un’identità, un’anima, una forza… E quindi fa più paura!
Pedalare sotto la pioggia non è molto piacevole, ma non
sempre si può evitare…
Penelope sembra voglia arrivare proprio sabato, vorrà dire
che faremo una bella doccia. Spero solo che non ci sia vento, a me il vento
piace, ma non alla Goat.
Carico in macchina la bici, il carrello, una ruota di
scorta, un copertone, camere d’aria e attrezzi in quantità, non ho tempo di
selezionare solo quelli che servono, meglio abbondare.
Carico anche un ombrellino da viaggio, 220 centimetri di
diametro, e un treppiede per tenerlo in piedi. Serviranno per proteggere la
fotocamera sul cavalletto. Se però c’è vento… dubito che riuscirò a tenere
aperto l’ombrellino…
Sabato
5 Ottobre
Dell’uragano, o ciclone, Penelope non c’è nessuna traccia.
Il cielo è grigio, quel classico grigio padano che
accompagna la pianura da Ottobre a Marzo, più o meno.
Non piove, cade solo qualche goccia, quella che un tempo la
maestra avrebbe definito “acquerugiola”, un termine che si trova solo su
dizionari, quelli molto vecchi.
Cerco una strada per avvicinarmi all’argine maestro, vorrei parcheggiare
in un punto vicino a dove arriverò stasera pedalando.
Arrivo, parcheggio, scarico tutta la ferraglia. Ci vuole un
po’ di tempo per mettere insieme tutto quanto.
Passa qualche ciclista, due o tre ardimentosi che non
rinunciano al giretto del sabato mattina anche in questa giornata uggiosa.
Danno un’occhiata veloce e passano via.
Sull’argine passa un ciclista che mi guarda e mi raggiunge.
«Posso chiederle un
favore? Mi scatterebbe una foto?».
«Qui?»
««Sì qui va bene»
«No, qui fa schifo,
nel parcheggio, no dai… Se aspetti due minuti finisco di sistemare la bici e
andiamo sull’argine, almeno hai il fiume sullo sfondo, puoi aspettare?»
«Sì posso».
Saliamo quindi sull’argine: «Mettiti con la strada davanti per dare il senso della direzione, per
dare il senso della strada nella foto.».
Scatto qualche foto e facciamo due chiacchiere.
Dall’accento si capisce che Rocco è della zona fra Codogno e
il Po, quella zona in cui l’accento non è più lodigiano, ma non è ancora piacentino.
La “R” tipica della zona accenna richiama leggermente quella
emiliana.
È ben equipaggiato, ma si sta raffreddando e non stiamo
troppo a chiacchierare.
Cade qualche goccia, il cappuccio della giacca a vento contiene
bene anche il caschetto e posso evitare di indossare altro nylon o plastiche varie.
Fra asfalto e sterrato, fra una pozzanghera e l’altra passo
davanti a Guzzafame e a Corte Sant’Andrea. Pedalo con la velocità di crociera
tipica della Goat, dal numero di pedalate si ha la sensazione di andare forte,
dai chilometri percorsi no!
Ombrello e cavalletto sporgono dal carrello e l’ombrello s’infanga
tutto, poco male perché non credo che andrò mai a fare lo struscio sul corso
con questo ombrello.
Penso che forse almeno un panino me lo potevo portare, ma
oramai è così, ne farò a meno, forse dovrei imparare a pensare di più al cibo
in viaggio, lungo o corto che sia.
Sono in anticipo e sto per arrivare sul luogo dell’incontro.
Posso permettermi di fare qualche filmato, uno dei soliti filmati in cui si
vede che parto e poi torno indietro correndo affannosamente a riprendere la
fotocamera al più presto per evitare di consumare spazio di memoria sulla
scheda. Il risultato è una cosa ridicola.
Piazzo la fotocamera, per fortuna ora non piove, così posso
evitare di piazzare anche il cavalletto con l’ombrello.
Premo il pulsante e salto in sella velocemente, parto.
Sento che qualcosa sfrega contro la ruota, probabilmente si
è bloccato un freno, do un’occhiata veloce e fermo il filmato.
Guardo meglio. I pattini dei freni davanti non toccano, la
ruota gira bene. I pattini dei freni dietro non toccano, la ruota gira bene. I
pattini delle ruote del carrello non toccano, le ruote girano bene.
Guardo se il bagaglio sfrega contro le ruote, se qualcosa da
fastidio alle ruote, se nel fango ci sono sassolini che si incastrano contro le
ruote.
Tutto è in ordine.
Riparto.
Sfrega ancora, sento il rumore e sento che le ruote sono frenate.
Non capisco, ricomincio da capo tutti i controlli: funziona tutto
a dovere.
Risalgo e riparto, sono in anticipo, ma non posso perdere
tempo, sistemerò il problema più avanti.
Faccio però una fatica bestiale, proseguo per un po’, ma
ogni chilometro mi devo fermare a prendere fiato.
Ricontrollo ancora tutto da capo, forse è sfuggito qualcosa,
provo ad allentare i freni.
Riparto. Non è cambiato nulla.
Spingo la bici, è tutto in ordine, nessun rumore, nessuno
sfregamento.
La bici senza me in sella va bene, se salgo in salgo in
sella si frena.
Forse è davvero il blocco interno del freno a pedale… La
cosa mi preoccupa, se fosse così, se fosse quello il problema?
Per oggi rischio di non poter pedalare con Elena e Marco e
poi mi devo fare almeno una dozzina di chilometri a piedi per tornare alla macchina.
Male che vada torno a casa col buio, poco male.
Ma se non posso contare sul freno a pedale perché mi fa questi
scherzi cambia tutta l’affidabilità della Goat. È vero che ci sono sette freni,
ma è anche vero che quello sul quale posso contare di più è il freno a pedale.
Se però è poco affidabile e s’incastra io rischio di bloccarmi nel bel mezzo di
un viaggio.
Può essere un problema, un grosso problema, un brutto
problema.
Eppure qualcosa non mi convince, torno a pedalare per non
arrivare in ritardo.
Arrivo al punto stabilito.
Mi viene da pensare che forse il problema è nei pedali, nel
movimento centrale dei pedali.
So però che non è possibile: quando spingo la bici
camminando il problema non si manifesta.
In questo punto della strada c’è una leggera discesa, salto
in sella e scendo senza pedalare.
Il problema persiste. Confermo: i pedali non c’entrano
nulla.
C’è qualcosa che cambia quando aumenta il peso sulla bici. Provo
a spingerla sdraiandomi sulla sella per capire qualcosa di più. Non sono
proprio sdraiato, sono piegato, attorcigliato, sì, insomma avete capito.
Niente, continuo a non capire, controllo ancora le ruote per
vedere se ci sono segni di abrasione, ma son passato dentro un sacco di
pozzanghere, le ruote sono bagnate e non si vedono segni strani.
Forse ho capito, forse ci siamo, forse è il telaio che si piega.
A dir la verità lo pensavo fin da prima, ma non volevo dare spazio a questa ipotesi.
Forse il peso fa modificare il telaio oramai malconcio e fa
puntare le ganasce del freno posteriore contro il telaio. (Non so bene se si
dice ganascia al singolare o ganasce al plurale, a me sembra più giusto dire
ganasce.).
Fin da eri mi ero accorto che i pattini erano in una posizione
strana, lontani dai cerchioni, in condizioni tali da non poter fare il loro
lavoro.
Ero rimasto perplesso, non mi sembrava fossero mai stati così
mal messi, ma avendo messo un cerchio a doppia camera con il mozzo del freno a
contro pedale sapevo che pattini e freni potevano essere meno compatibili non
il cerchione.
Non è vero, perché sono compatibilissimi, ma al momento non avevo
tempo per pensarci.
Sapevo che gli altri freni in pianura erano più che
sufficienti: chi si accontenta gode.
Tolgo le ganasce dei freni, riprovo.
Problema risolto, erano le ganasce contro la gomma.
Ora posso star tranquillo. Tutto è bene quel che finisce
bene, posso adempiere alla mia missione di pedalare con i due megaciclisti.
Do un’occhiata in giro, sono nell’ultimo tratto del Lambro,
fra il ponte della strada e il ponte della ferrovia. Al parapetto della strada
c’è una camera d’aria appesa.
Non è la prima volta che trovo una camera d’aria bucata in giro
per strada.
Lascia un po’ perplessi vedere che c’è chi va a farsi un
giro in bici in mezzo alla natura e quando buca lascia in giro una camera d’aria.
Perché? Ti muovi in campagna per stare in mezzo al verde,
per stare nella natura fra i fiori e le piante, il muschio e i licheni, gli
uccellini e le farfalle, i coniglietti e le ranocchi, i grilli e la formica
rufa… e poi lasci in giro i tuoi rifiuti? Ci sarà sempre qualcuno che pulirà
per te? Son sempre gli altri a dover sistemare le cose?
Metto la gomma nel sacco sul carrello, vedo però che c’è
anche un copertone, un altro e un altro ancora alla base dell’argine.
È pieno di copertoni di bicicletta! Qualcuno ha deciso di
fare di questo posto la sua discarica. Sono circa un centinaio, se prima ero
perplesso ora lo sono ancor di più.
Oggi che la bici è sempre più un simbolo di un rinnovato
rapporto di maggior rispetto dell’ambiente, di rapporto con la natura, di
risparmio e di ecologia… C’è chi butta i copertoni fra le piante. Non è il caso
di commentare oltre perché poi ognuno trae le proprie conclusioni.
Forse conviene che li riunisca tutti per facilitare la
raccolta, l’idea di scendere lungo l’argine con i sandali fra l’erba e i rami
di Robinia spinosi e bagnati non mi attira moltissimo, ma se si presta
attenzione si può fare. Scendo e li butto sulla strada sterrata, ne faccio due
mucchi, sono quasi un centinaio. Ci sono anche un paio di pneumatici da moto.
Chiamo poi il sindaco di Orio Litta per avvisarlo, non è in
casa, risponde la moglie, dice che avviserà l’assessore. Il sindaco di Orio è
ormai stufo di vedermi visto che in ogni giro in bici passo di qua, ma lo
faccio perché è un ottimo punto per la Via Francigena e la Via degli Abati.
Di Orio Litta non dico nulla perché ne ho già parlato in
altre occasioni, aggiungo solo che passa di qua anche il percorso:
Venicetosantiago.com.
Fatevi un giro sul sito per vedere di cosa si tratta, è una
buona idea e magari un giorno ci farò un giretto.
Poco dopo arriva l’assessore a dare un’occhiata, si guarda
in giro per vedere se ci sono altre schifezze da far portar via. Vi sembra poco
che voi avvisate di un problema il sabato all’ora di pranzo e mezz’ora dopo
arriva l’assessore? A me sembra un’ottima cosa!!!
Piazzo la fotocamera sul cavalletto per filmare l’arrivo di
Elena e Marco.
Li vedo arrivare attraverso le piante e faccio in tempo a
far partire il filmato, arrivano e Marco ha la fotocamera in mano per filmare
l’arrivo. Sembra quasi che ci siamo messi d’accordo, ma non è così.
Appoggiano le bici alla stanga, Elena viene presa
dall’entusiasmo e si lancia in sella alla Goat che è parcheggiata in leggera
discesa, ma ho messo un sasso sotto una ruota, come si fa quando si parcheggia
in montagna. Le dico di togliere il sasso, ma non faccio in tempo a dirle che è
praticamente senza freni, che deve usare il freno a contro pedale, parte quindi
in discesa proprio in direzione della sua bici parcheggiata. Cerco di dirle
qualcosa, ma non faccio in tempo e lei cerca di frenare, ma si scontra con la
sua bici, proprio vicino al freno a disco.
Niente panico, stava andando pianissimo e non è successo
niente, ma questo dimostra ancora una volta che la Goat non è una bici normale,
non basta tirare le leve dei freni per fermarsi, è un mezzo in cui
l’integrazione uomo-macchina è fondamentale.
Si parte. Passiamo sotto il ponte della ferrovia lungo il
tratto di argine che costeggia la riva sinistra del Lambro. Dobbiamo prestare
attenzione alle lumache che attraversano la strada. Loro sono abituati perché
nel Tour Divide negli Stati Uniti dovevano evitare i serpenti a sonagli lungo
alcune strade. Io preferisco le lumache del Po, non so voi… (Questa è una nota
che ho aggiunto io perché me l’hanno raccontato lo scorso anno, forse non se lo
ricordavano… “Sì, figurati se non se lo ricordavano…”).
Arriviamo al punto del Transitum Padi, è un buon punto per
un filmato.
Questa dei filmati è un’ansia che crescerà in maniera esponenziale
ben più di quella delle fotografie, perlomeno le foto le vedi in un attimo e
fai presto a cancellarle.
Il filmato invece, prima di cancellarlo, devi vederlo tutto
o in buona parte, e ci vuole molto più tempo. La possibilità di installare la
fotocamera sul caso o sul manubrio e filmare in continuazione fa sì che una
volta arrivato a casa devi avere giorni e giorni a disposizione per rivedere tutto.
Piazziamo le fotocamere e risaliamo di corsa la breve salita
per poi scendere tutti assieme.
Chiedo: «Avete
incontrato l’acchiappa pellegrini?».
L’acchiappa pellegrini è una figura mitologica della Via
Francigena che si aggira nella Lomellina a bordo di una Graziella tricolore, praticamente
una cugina della Goat, e assiste i pellegrini viandanti fra Mortara e Garlasco.
«Sì, l’abbiamo
incontrato!»
Ne deduco che solo io non l’ho incontrato nel mio girovagare,
ma ammetto che non sono passato da Tromello è quindi giusto che non l’abbia
incontrato. Provvederò al più presto.
Ripartiamo, ma mi rendo conto che la situazione del telaio
peggiora metro dopo metro, devo arrendermi: «Non
ce la faccio, il telaio è ormai contro la gomma e non riesco a starvi, vi sto
facendo rallentare troppo.».
Mi spiace farlo, ma bisogna sapersi arrendere.
A loro mancano ancora almeno quaranta chilometri, sono le
quattro del pomeriggio e il cielo è sempre grigio, conviene che accelerino il
passo.
Ci salutiamo, ripartono veloci mentre io scendo a spingere,
mi salutano da lontano come nella scena di un film.
(Di questa scena di un film, non ho degli esempi, ma ci sarà
pur stato un film in cui si salutavano da lontano mentre uno si allontanava e
l’altro no, penso a roba western o simili, roba tipo il soldato che parte e la
mamma resta a casa, il cavaliere che parte e la principessa piange da una
finestra del castello, il cow-boy parte e l’anziano padre resto solo nella casa
nella prateria, Heidy e il nonno, robe simili…).
Pedalo e cammino per un po’, smonto tutto e lo carico in
macchina, corro a casa che il mio stomaco è ormai imploso nel vuoto più
assoluto.
Giancarlo