venerdì 20 dicembre 2013

Penelope non ci fermerà! Girumin racconta un giorno sulla Via Francigena...

Venerdì 4 Ottobre

Penelope non ci fermerà!

Sarà questo il motto della giornata.
L’altra settimana, mentre ero in giro a collaudare il Vtte, Elena mi aveva detto che lei e Marco sarebbero partiti per la Via Francigena il 4 Ottobre. Proponeva di percorrere un tratto di strada insieme.

Lei e Marco in sella sono forti, anzi fortissimi, e l’idea di percorrere assieme un tratto di strada mi è piaciuta subito. Ogni tanto ci s’incontra fra festival, fiere e presentazioni di viaggi, ma non ci è ancora capitato di pedalare assieme.

Ci accordiamo per incontrarci il 5 Ottobre fra Pavia e Piacenza, da qualche parte lungo la Via Francigena.

Chiedo a Elena di scegliere se preferisce che io pedali con la Goat o con il Vtte: preferisce la Goat.

Elena e Marco hanno qualche esperienza più di me in merito alla bicicletta. Marco ha percorso l’Iditaroad Trail in Alaska e il Tour Divide in solitaria. Ha poi ripercorso il “Tour Divide” assieme ad Elena. Forse non tutti lo sanno, ma non sono competizioni di quelle facili facili…
Il fatto stesso di arrivare fino in fondo è un successo, un grande successo!!!

Consiglio di fare un giretto sul web per vedere di cosa si tratta…

Sono più conosciuti come wildtrack.it, se cercate il loro sito ricordatevi che wildtrack si scrive con la “A”, non con la “E”.

Per la Goat sarà un onore pedalare insieme a loro. Prima però di accettare l’invito faccio presente che la Goat non raggiungerà le loro prestazioni.
Elena dice al telefono che loro vanno piano e sono fuori allenamento. Certo… Certo…
Anche se io mi mettessi in sella tutti i giorni per un anno intero con il carrello carico di sampietrini non potrei mai arrivare alla loro prestazioni… E poi la Goat ha i suoi limiti, tanti limiti, mentre loro viaggeranno con biciclette studiate per muoversi anche sugli anelli di Saturno.

La Goat è tornata dal viaggio verso il Festival della Viandanza leggermente malandata, non ci sono grossi problemi, ma il telaio si sta spezzando sul portapacchi e io non ho ancora provveduto a sostituirlo, non si può riparare, va proprio sostituito.
Sto pensando a come cambiarlo, a come realizzare un pezzo di telaio più adatto per agganciare il carrello.

Per fortuna la Graziella è uno dei primi modelli, con il carro posteriore imbullonato, così non devo preoccuparmi di saldare il telaio nei punti di aggancio del carro posteriore e non devo tagliare nulla per togliere il carro posteriore, basta svitare i quattro dadi che lo tengono fissato al telaio.

Forse però posso aggiungere un paio di profilati di acciaio e sistemarlo provvisoriamente, per farlo resistere qualche altro centinaio di chilometri. Forse posso semplicemente rinforzare il portapacchi ed evitare altri problemi, provo a pensarci.

Ci sarebbe anche la forcella davanti mezza sfilettata, ma lì è sufficiente che ogni dieci chilometri, più o meno, mi fermi e faccia fare alla ghiera un mezzo giro, sono andato avanti così per qualche centinaio di chilometri e posso farlo ancora.

Ora però devo partire con la Goat così com’è. Non è un problema, non devo portare un carico pesante. Non devo percorrere molto sterrato, non credo che il telaio decida di spezzarsi proprio domani, o almeno lo spero.

Una buona bici non chiede di essere ricontrollata prima di un giretto di qualche decina di chilometri, ma la Goat è un po’ particolare e prima di partire conviene che verifichi se ci sono tutti i pezzi e se fanno tutti il loro dovere.

… e poi non ho ancora sistemato tutto dopo il rientro dal collaudo del Vtte, gli attrezzi e qualche pezzo sono da riordinare. Per esempio: la sella del Vtte l’avevo tolta dalla Goat e ora la devo rimettere posto.

Telefono a Elena: «Siamo a Tromello».
Vuol dire che arriveranno al ponte sul Lambro nel primo pomeriggio, questo mi da il tempo per preparare le cose con più calma e portare la macchina un po’ più verso Piacenza per poi risalire il Po verso Lambrinia.

Le previsioni del tempo dicono che sta per arrivare l’ “Uragano Penelope”, cioè il “Ciclone Penelope”.
A me sta cosa di dare i nomi alle perturbazioni non fa tanto piacere. Un temporale è un temporale, ma quando è anonimo fa paura come tutti gli altri temporali, quando invece ha un nome fa più paura. Fa più paura perché ha un’identità, un’anima, una forza… E quindi fa più paura!

Pedalare sotto la pioggia non è molto piacevole, ma non sempre si può evitare…
Penelope sembra voglia arrivare proprio sabato, vorrà dire che faremo una bella doccia. Spero solo che non ci sia vento, a me il vento piace, ma non alla Goat.

Carico in macchina la bici, il carrello, una ruota di scorta, un copertone, camere d’aria e attrezzi in quantità, non ho tempo di selezionare solo quelli che servono, meglio abbondare.

Carico anche un ombrellino da viaggio, 220 centimetri di diametro, e un treppiede per tenerlo in piedi. Serviranno per proteggere la fotocamera sul cavalletto. Se però c’è vento… dubito che riuscirò a tenere aperto l’ombrellino…


Sabato 5 Ottobre

Dell’uragano, o ciclone, Penelope non c’è nessuna traccia.
Il cielo è grigio, quel classico grigio padano che accompagna la pianura da Ottobre a Marzo, più o meno.
Non piove, cade solo qualche goccia, quella che un tempo la maestra avrebbe definito “acquerugiola”, un termine che si trova solo su dizionari, quelli molto vecchi.

Cerco una strada per avvicinarmi all’argine maestro, vorrei parcheggiare in un punto vicino a dove arriverò stasera pedalando.
Arrivo, parcheggio, scarico tutta la ferraglia. Ci vuole un po’ di tempo per mettere insieme tutto quanto.

Passa qualche ciclista, due o tre ardimentosi che non rinunciano al giretto del sabato mattina anche in questa giornata uggiosa. Danno un’occhiata veloce e passano via.

Sull’argine passa un ciclista che mi guarda e mi raggiunge.
«Posso chiederle un favore? Mi scatterebbe una foto?».
«Qui?»
««Sì qui va bene»
«No, qui fa schifo, nel parcheggio, no dai… Se aspetti due minuti finisco di sistemare la bici e andiamo sull’argine, almeno hai il fiume sullo sfondo, puoi aspettare?»
«Sì posso».

Saliamo quindi sull’argine: «Mettiti con la strada davanti per dare il senso della direzione, per dare il senso della strada nella foto.».

Scatto qualche foto e facciamo due chiacchiere.
Dall’accento si capisce che Rocco è della zona fra Codogno e il Po, quella zona in cui l’accento non è più lodigiano, ma non è ancora piacentino.
La “R” tipica della zona accenna richiama leggermente quella emiliana.
È ben equipaggiato, ma si sta raffreddando e non stiamo troppo a chiacchierare.

Cade qualche goccia, il cappuccio della giacca a vento contiene bene anche il caschetto e posso evitare di indossare altro nylon o plastiche varie.
Fra asfalto e sterrato, fra una pozzanghera e l’altra passo davanti a Guzzafame e a Corte Sant’Andrea. Pedalo con la velocità di crociera tipica della Goat, dal numero di pedalate si ha la sensazione di andare forte, dai chilometri percorsi no!

Ombrello e cavalletto sporgono dal carrello e l’ombrello s’infanga tutto, poco male perché non credo che andrò mai a fare lo struscio sul corso con questo ombrello.

Penso che forse almeno un panino me lo potevo portare, ma oramai è così, ne farò a meno, forse dovrei imparare a pensare di più al cibo in viaggio, lungo o corto che sia.

Sono in anticipo e sto per arrivare sul luogo dell’incontro. Posso permettermi di fare qualche filmato, uno dei soliti filmati in cui si vede che parto e poi torno indietro correndo affannosamente a riprendere la fotocamera al più presto per evitare di consumare spazio di memoria sulla scheda. Il risultato è una cosa ridicola.

Piazzo la fotocamera, per fortuna ora non piove, così posso evitare di piazzare anche il cavalletto con l’ombrello.

Premo il pulsante e salto in sella velocemente, parto.
Sento che qualcosa sfrega contro la ruota, probabilmente si è bloccato un freno, do un’occhiata veloce e fermo il filmato.
Guardo meglio. I pattini dei freni davanti non toccano, la ruota gira bene. I pattini dei freni dietro non toccano, la ruota gira bene. I pattini delle ruote del carrello non toccano, le ruote girano bene.
Guardo se il bagaglio sfrega contro le ruote, se qualcosa da fastidio alle ruote, se nel fango ci sono sassolini che si incastrano contro le ruote.
Tutto è in ordine.

Riparto.
Sfrega ancora, sento il rumore e sento che le ruote sono frenate.
Non capisco, ricomincio da capo tutti i controlli: funziona tutto a dovere.

Risalgo e riparto, sono in anticipo, ma non posso perdere tempo, sistemerò il problema più avanti.
Faccio però una fatica bestiale, proseguo per un po’, ma ogni chilometro mi devo fermare a prendere fiato.
Ricontrollo ancora tutto da capo, forse è sfuggito qualcosa, provo ad allentare i freni.

Riparto. Non è cambiato nulla.
Spingo la bici, è tutto in ordine, nessun rumore, nessuno sfregamento.
La bici senza me in sella va bene, se salgo in salgo in sella si frena.

Forse è davvero il blocco interno del freno a pedale… La cosa mi preoccupa, se fosse così, se fosse quello il problema?

Per oggi rischio di non poter pedalare con Elena e Marco e poi mi devo fare almeno una dozzina di chilometri a piedi per tornare alla macchina. Male che vada torno a casa col buio, poco male.

Ma se non posso contare sul freno a pedale perché mi fa questi scherzi cambia tutta l’affidabilità della Goat. È vero che ci sono sette freni, ma è anche vero che quello sul quale posso contare di più è il freno a pedale. Se però è poco affidabile e s’incastra io rischio di bloccarmi nel bel mezzo di un viaggio.
Può essere un problema, un grosso problema, un brutto problema.

Eppure qualcosa non mi convince, torno a pedalare per non arrivare in ritardo.

Arrivo al punto stabilito.
Mi viene da pensare che forse il problema è nei pedali, nel movimento centrale dei pedali.
So però che non è possibile: quando spingo la bici camminando il problema non si manifesta.

In questo punto della strada c’è una leggera discesa, salto in sella e scendo senza pedalare.
Il problema persiste. Confermo: i pedali non c’entrano nulla.

C’è qualcosa che cambia quando aumenta il peso sulla bici. Provo a spingerla sdraiandomi sulla sella per capire qualcosa di più. Non sono proprio sdraiato, sono piegato, attorcigliato, sì, insomma avete capito.
Niente, continuo a non capire, controllo ancora le ruote per vedere se ci sono segni di abrasione, ma son passato dentro un sacco di pozzanghere, le ruote sono bagnate e non si vedono segni strani.

Forse ho capito, forse ci siamo, forse è il telaio che si piega. A dir la verità lo pensavo fin da prima, ma non volevo dare spazio a questa ipotesi.

Forse il peso fa modificare il telaio oramai malconcio e fa puntare le ganasce del freno posteriore contro il telaio. (Non so bene se si dice ganascia al singolare o ganasce al plurale, a me sembra più giusto dire ganasce.).
Fin da eri mi ero accorto che i pattini erano in una posizione strana, lontani dai cerchioni, in condizioni tali da non poter fare il loro lavoro.
Ero rimasto perplesso, non mi sembrava fossero mai stati così mal messi, ma avendo messo un cerchio a doppia camera con il mozzo del freno a contro pedale sapevo che pattini e freni potevano essere meno compatibili non il cerchione.
Non è vero, perché sono compatibilissimi, ma al momento non avevo tempo per pensarci.
Sapevo che gli altri freni in pianura erano più che sufficienti: chi si accontenta gode.

Tolgo le ganasce dei freni, riprovo.

Problema risolto, erano le ganasce contro la gomma.

Ora posso star tranquillo. Tutto è bene quel che finisce bene, posso adempiere alla mia missione di pedalare con i due megaciclisti.

Do un’occhiata in giro, sono nell’ultimo tratto del Lambro, fra il ponte della strada e il ponte della ferrovia. Al parapetto della strada c’è una camera d’aria appesa.
Non è la prima volta che trovo una camera d’aria bucata in giro per strada.
Lascia un po’ perplessi vedere che c’è chi va a farsi un giro in bici in mezzo alla natura e quando buca lascia in giro una camera d’aria.
Perché? Ti muovi in campagna per stare in mezzo al verde, per stare nella natura fra i fiori e le piante, il muschio e i licheni, gli uccellini e le farfalle, i coniglietti e le ranocchi, i grilli e la formica rufa… e poi lasci in giro i tuoi rifiuti? Ci sarà sempre qualcuno che pulirà per te? Son sempre gli altri a dover sistemare le cose?

Metto la gomma nel sacco sul carrello, vedo però che c’è anche un copertone, un altro e un altro ancora alla base dell’argine.
È pieno di copertoni di bicicletta! Qualcuno ha deciso di fare di questo posto la sua discarica. Sono circa un centinaio, se prima ero perplesso ora lo sono ancor di più.
Oggi che la bici è sempre più un simbolo di un rinnovato rapporto di maggior rispetto dell’ambiente, di rapporto con la natura, di risparmio e di ecologia… C’è chi butta i copertoni fra le piante. Non è il caso di commentare oltre perché poi ognuno trae le proprie conclusioni.

Forse conviene che li riunisca tutti per facilitare la raccolta, l’idea di scendere lungo l’argine con i sandali fra l’erba e i rami di Robinia spinosi e bagnati non mi attira moltissimo, ma se si presta attenzione si può fare. Scendo e li butto sulla strada sterrata, ne faccio due mucchi, sono quasi un centinaio. Ci sono anche un paio di pneumatici da moto.

Chiamo poi il sindaco di Orio Litta per avvisarlo, non è in casa, risponde la moglie, dice che avviserà l’assessore. Il sindaco di Orio è ormai stufo di vedermi visto che in ogni giro in bici passo di qua, ma lo faccio perché è un ottimo punto per la Via Francigena e la Via degli Abati.
Di Orio Litta non dico nulla perché ne ho già parlato in altre occasioni, aggiungo solo che passa di qua anche il percorso: Venicetosantiago.com.
Fatevi un giro sul sito per vedere di cosa si tratta, è una buona idea e magari un giorno ci farò un giretto.

Poco dopo arriva l’assessore a dare un’occhiata, si guarda in giro per vedere se ci sono altre schifezze da far portar via. Vi sembra poco che voi avvisate di un problema il sabato all’ora di pranzo e mezz’ora dopo arriva l’assessore? A me sembra un’ottima cosa!!!

Piazzo la fotocamera sul cavalletto per filmare l’arrivo di Elena e Marco.

Li vedo arrivare attraverso le piante e faccio in tempo a far partire il filmato, arrivano e Marco ha la fotocamera in mano per filmare l’arrivo. Sembra quasi che ci siamo messi d’accordo, ma non è così.

Appoggiano le bici alla stanga, Elena viene presa dall’entusiasmo e si lancia in sella alla Goat che è parcheggiata in leggera discesa, ma ho messo un sasso sotto una ruota, come si fa quando si parcheggia in montagna. Le dico di togliere il sasso, ma non faccio in tempo a dirle che è praticamente senza freni, che deve usare il freno a contro pedale, parte quindi in discesa proprio in direzione della sua bici parcheggiata. Cerco di dirle qualcosa, ma non faccio in tempo e lei cerca di frenare, ma si scontra con la sua bici, proprio vicino al freno a disco.
Niente panico, stava andando pianissimo e non è successo niente, ma questo dimostra ancora una volta che la Goat non è una bici normale, non basta tirare le leve dei freni per fermarsi, è un mezzo in cui l’integrazione uomo-macchina è fondamentale.

Si parte. Passiamo sotto il ponte della ferrovia lungo il tratto di argine che costeggia la riva sinistra del Lambro. Dobbiamo prestare attenzione alle lumache che attraversano la strada. Loro sono abituati perché nel Tour Divide negli Stati Uniti dovevano evitare i serpenti a sonagli lungo alcune strade. Io preferisco le lumache del Po, non so voi… (Questa è una nota che ho aggiunto io perché me l’hanno raccontato lo scorso anno, forse non se lo ricordavano… “Sì, figurati se non se lo ricordavano…”).

Arriviamo al punto del Transitum Padi, è un buon punto per un filmato.
Questa dei filmati è un’ansia che crescerà in maniera esponenziale ben più di quella delle fotografie, perlomeno le foto le vedi in un attimo e fai presto a cancellarle.
Il filmato invece, prima di cancellarlo, devi vederlo tutto o in buona parte, e ci vuole molto più tempo. La possibilità di installare la fotocamera sul caso o sul manubrio e filmare in continuazione fa sì che una volta arrivato a casa devi avere giorni e giorni a disposizione per rivedere tutto.

Piazziamo le fotocamere e risaliamo di corsa la breve salita per poi scendere tutti assieme.

Chiedo: «Avete incontrato l’acchiappa pellegrini?».
L’acchiappa pellegrini è una figura mitologica della Via Francigena che si aggira nella Lomellina a bordo di una Graziella tricolore, praticamente una cugina della Goat, e assiste i pellegrini viandanti fra Mortara e Garlasco.
«Sì, l’abbiamo incontrato!»
Ne deduco che solo io non l’ho incontrato nel mio girovagare, ma ammetto che non sono passato da Tromello è quindi giusto che non l’abbia incontrato. Provvederò al più presto.

Ripartiamo, ma mi rendo conto che la situazione del telaio peggiora metro dopo metro, devo arrendermi: «Non ce la faccio, il telaio è ormai contro la gomma e non riesco a starvi, vi sto facendo rallentare troppo.».

Mi spiace farlo, ma bisogna sapersi arrendere.

A loro mancano ancora almeno quaranta chilometri, sono le quattro del pomeriggio e il cielo è sempre grigio, conviene che accelerino il passo.
Ci salutiamo, ripartono veloci mentre io scendo a spingere, mi salutano da lontano come nella scena di un film.
(Di questa scena di un film, non ho degli esempi, ma ci sarà pur stato un film in cui si salutavano da lontano mentre uno si allontanava e l’altro no, penso a roba western o simili, roba tipo il soldato che parte e la mamma resta a casa, il cavaliere che parte e la principessa piange da una finestra del castello, il cow-boy parte e l’anziano padre resto solo nella casa nella prateria, Heidy e il nonno, robe simili…).
 
Pedalo e cammino per un po’, smonto tutto e lo carico in macchina, corro a casa che il mio stomaco è ormai imploso nel vuoto più assoluto.

Giancarlo